Breve guida al content design

Cos’è il content design? 

Il content design è un modo e un tempo per organizzare o riorganizzare un sito web con il contenuto. Ho scritto un tempo perché c’è davvero bisogno di prendersi del tempo per progettare insieme contenuti e design perché tutto fili liscio. 

Lo diceva già nel 2013 Kristina Halvorson nel suo libro Content strategy per il web. I contenuti fanno la differenza (Pearson, 2013): 

“Scrivere per il Web è un po’ più che fare copywriting, è capire le basi del design e dell’e- sperienza utente, è tradurre la documentazione dell’architettura delle informazioni, è scrivere in modo efficace per tutti. Il mondo dei contenuti va molto oltre ciò che si trova sul sito. È composto da tutte le persone, i luoghi, le cose che influiscono sul modo in cui vanno e vengono i contenuti”.        

La progettazione

L’etimologia greca della parola problema ci dice che problema è ciò che si getta o mette davanti, ciò che si presenta. Da pro, avanti e blema getto, colpo. Ogni giorno davanti a noi si pongono molte domande che ci aiutano a rileggere la realtà. A quelle domande troviamo risposta solo se veicoliamo le informazioni dandogli valore e le mettiamo a disposizione di tutti. Questo è il compito del designer, quello di progettare soluzioni. Progetto deriva dal latino pro-iecto, gettare (lanciare) in avanti. Ho una questione da risolvere e ho una possibile soluzione.

Il linguaggio

Le informazioni sono veicolate dal linguaggio, il software più antico che esista. 

Le storie sono il modo con cui facciamo esperienza delle cose, il nostro bagaglio fatto di memoria. 

L’architettura delle informazioni riunisce informazioni e storie con il linguaggio. Definisce il percorso di relazioni tra entità narrative e contesto. 

Definisce le relazioni che vogliamo instaurare con le persone. 

Senza il linguaggio non ci sono informazioni. 

Progettiamo esperienze, memoria, legami, relazioni: come designer abbiamo una grande responsabilità nei confronti del mondo e del web. Siamo facilitatori di relazioni ma anche di buone pratiche. Come dice Federico Badaloni “siamo ciò che connettiamo”. Quando progettiamo dobbiamo pensare anche all’etica di ciò che stiamo creando, al mondo che stiamo costruendo. 

L’ascolto

Rubo le parole di una poetessa, Alda Merini, per spiegare nel modo più semplice possibile qual è la prima cosa da fare quando abbiamo tra le mani dei contenuti, dei testi, dei microtesti. 

Mi piace il verbo sentire…
Sentire il rumore del mare,
sentirne l’odore.
Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra,
sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco.
Sentire l’odore di chi ami,
sentirne la vocee sentirlo col cuore.
Sentire è il verbo delle emozioni,
ci si sdraia sulla schiena del mondo
e si sente…

I designer dovrebbero tutti stare sulla schiena del mondo a sentire, ad ascoltare, solo così possono avere il peso, il valore, capire le sfumature dei contenuti da maneggiare. 

In ogni fase della progettazione bisogna essere aperti e sensibili, pronti a ribaltare le carte in tavola e ricominciare da capo, essere liberi da condizionamenti e pregiudizi, liberi da soluzioni preconfezionate e dai limiti imposti dall’esterno; quando parliamo di contenuti dobbiamo esserlo ancora di più. 

Dobbiamo essere inclusivi, sinceri, comprensibili. 

Un buon designer non può ignorare l’invisibile, il non detto, i bisogni profondi e le motivazioni che spingono ognuno di noi a fare quello che facciamo proprio in quel modo. Farlo da sdraiati sulla schiena del mondo è un buon modo di farci caso. 

Le domande giuste

Se dobbiamo lavorare a dei contenuti che esistono già dobbiamo prima fare un inventario. 

Dove li abbiamo trovati? 
Dove portano?
A cosa servivano? 
Sono ancora validi? 
Chi li usa? 
Perché? 

Dobbiamo raccogliere questi dati in un foglio excel. Includere appunti o note che possono aiutarci a memorizzare e capire meglio tutto, e i dati sul traffico, se li abbiamo. Una volta elencate queste cose sono molto più facili da controllare. 

Che esistano o no, dei contenuti dobbiamo chiederci perché? A cosa servono? Che funzione hanno? Che senso hanno? E sulla base del senso, dell’intenzione che hanno cominciare a preparare una o più liste per organizzarli al meglio. 

Liste, tassonomie e faccette

Fare una lista, classificare, serve a definire le priorità. La salienza ci insegna ad escludere, limare, pulire e fare ordine, a passare dal generale al particolare e di nuovo dal particolare al generale.

La classificazione definisce la relazione di quel contenuto con il mondo ed è sempre legata ad uno scopo. Pensare è classificare. La classificazione è immaginare delle liste di cose, pensate per vicinanza, coerenza, affinità. 

Tassonomie e faccette sono due modi che usiamo per classificare.

La tassonomia risponde alla domanda “dove lo colloco” e la risposta è univoca; le faccette rispondono alla domanda “come lo descrivo”. Le faccette sono delle liste annidate. La tassonomia aggiunge alla classificazione un sistema gerarchico (o poligerarchico). 

Quando classifichiamo dobbiamo lavorare sulla coerenza del raggruppamento e chiederci per chi è coerente quel raggruppamento. 

Analizziamo le liste confrontandoci insieme, ad alta voce, ricordiamoci che ogni classificazione definisce la sensibilità della persona che l’ha pensata e insieme indica come organizzare l’informazione, con che criteri disporla e organizzarla nello spazio o in un ambiente. Se strutturiamo bene le informazioni comunicheremo bene: questo vale anche per i content type, le meta descrizioni che indicano semplicemente gli attributi, le caratteristiche di un elemento.

Le parole chiave

Scegliamo quali parole definiscono la personalità, il tono, l’umore della struttura che stiamo analizzando, se sono coerenti con l’off line, dove ripeterle, creiamo una lista di parole chiave e torniamoci ogni volta che ci sembra di perderci. 

Dalle funzioni al purpose

Quando progettiamo progettiamo relazioni, fiducia, reciprocità, interazioni, esperienze.

È più semplice progettare se lo si fa per funzioni. 

La funzione è il modo in cui un sistema mette in relazione un bisogno con una determinata soluzione, il modo in cui un sistema genera valore.

dice Federico Badaloni e io gli credo

La funzione principale si articola in modo deduttivo in macro e sotto funzioni e appare magicamente se sappiamo guardare senza pregiudizi alle evidenze emerse dalla ricerca, dai workshop e interviste, dalle liste, dal brief. Le funzioni si condividono con il cliente con una mappatura funzionale.

Una funzione è definita da soggetto, verbo e complemento di termine e circoscrive ciò che include e ciò che esclude. Quali relazioni permette? Quali azioni? Quali entità? Quali attributi definisce?

Con le funzioni progettiamo attraverso il linguaggio la traccia che vogliamo lasciare nel mondo. La nostra funzione principale è il nostro purpose. 

La strategia dei contenuti               

“Fare contenuti è diverso da fare copywriting, significa progettare quello che le persone vengono a leggere, a imparare, a vedere o provare. La strategia dei contenuti definisce il modo in cui un’organizzazione (o un progetto) userà i contenuti per raggiungere i suoi obiettivi e soddisfare i bisogni dei suoi utenti” spiega Kristina Halvorson

Il content design così diventa un lavoro di squadra, perché se fatto bene coinvolge tutte le persone di un’organizzazione, tiene conto delle parole, della sensibilità, delle critiche di tutti e lo fa diventare un percorso sostenibile, concreto, credibile per tutti. 

Fare i contenuti significa trovare un senso, un’intenzione, mettere in ordine, un ordine che duri nel tempo.