Le storie le hai davanti agli occhi. Quando Cecilia la portinaia la mattina spazza il vialetto di casa, e casa sua sta in El Salvador. Quando il vicino apre la porta d’ingresso e c’è un muro di scatoloni ad accoglierlo. Quando sbirci il cellulare di quello che è seduto accanto a te in metropolitana e leggi un messaggio che dice: “dove sei?”. Le storie non cominciano con c’era una volta, almeno non sempre.
Le storie cominciano con i piccoli gesti, con le parole che evocano immagini. Con le azioni che si aprono e si chiudono. Con i ritmi dati dalla punteggiatura.
Le storie cominciano con quegli inizi che sono come un primo sguardo.
Lasciandoti la sensazione di esserci già dentro.
Le storie cominciano con due parole, Rodari usava il binomio fantastico per spiegarlo e sopra un cane ci metteva un armadio.
“Un cane passa per la strada con un armadio sulla groppa”.
Le storie cominciano con due parole vicine che si fanno il filo. Ma anche con due parole vicine che litigano. Oppure con due parole vicine, ma lontane.
Le storie si fanno guidare dalle parole. Le storie cominciano dove c’è un’immagine. Le storie nascono parlate e finiscono scritte.
Le storie cominciano con la vista. Ogni parola porta con sé un’immagine o due. Se sei capace di seguire quell’immagine, di lasciarti andare ad essa, di ballarci un po’ dentro, di toccarla con gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie e le mani, se sei capace di camminarci al fianco senza giudicarla, quella parola messa vicino a un’altra, sarà l’inizio di una storia.
Le storie cominciano negli occhi. E lì tornano quando le leggi.
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