Non conoscevo questo lato di Pasolini. Quello che manipola, modifica, ritaglia e riutilizza materiali di repertorio, riproduzioni di fotografie, disegni e dipinti. Quello dove l’assemblamento diventa una nuova forma espressiva.

Non conoscevo la sua folgorazione figurativa, quel suo gusto nel prendere i dipinti e farne altro, mantenendo il senso di quel pezzo di realtà che ne viene raffigurata.

Non conoscevo le sue parole sul cinema che non è altro che una forma della realtà che osserviamo qui e ora, quella che osserviamo, dove non c’è finzione ma solo un punto di vista circoscritto al nostro sguardo.
Non lo conoscevo e non ho potuto che chiedermi che forma ha il mio sguardo, qual è il mio film? E a chi mi ispiro mentre lo creo, cosa mi ha folgorato?
Alla mostra realizzata dalla Cineteca di Bologna che confronta le immagini della grande tradizione pittorica a quelle dei film di Pierpaolo Pasolini, ci sono finita per caso. Vi ho ritrovato la cocente attualità del suo pensiero e la creatività spiccia della sua arte.
Sono costantemente alla ricerca di modi che rendano la creatività più pratica e meno esclusiva, di esempi dove il copiare diventa un atto generativo e non una frode. Questa mostra ne è un esempio, immagine dopo immagine.
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